giovedì 29 febbraio 2024

Marzo, che mette nuvole a soqquadro - di Arturo Onofri



Marzo, che mette nuvole a soqquadro
e le ammontagna in alpi di broccati,
per poi disfarle in mammole sui prati,
accende all’improvviso, come un ladro,
un’occhiata di sole,
che abbaglia acque e viole.



Con in bocca un fil d’erba primaticcio,
marzo è un fanciullo in ozio, a cavalcioni
sul vento che separa due stagioni;
e, zufolando fa, per suo capriccio,
con strafottenti audacie,
il tempo che gli piace.


Stanotte, fra i suoi riccioli, spioventi
sul mio sonno a rovesci e a trilli alati,
il flauto di silenzio dei suoi fiati
vegetali svegliava azzurri e argenti
nel mio sognarlo, e fuori
ne son sbocciati fiori.

lunedì 24 ottobre 2022

Ricordo - di Ricarda Huch


Un tempo, tanto tempo fa,
ero un albero sulla riva di un monte,
la luna pettinava i miei rami di betulla
con la sua mano bianca.

Sospesa sopra l'abisso,
ondeggiavo al vento sull'aspra pietra,
catturavo nuvole danzanti solo
per un gioco fugace.

Nulla sentivo nell'anima,
non le gioie, non i dolori,
stormivo, appassivo, fiorivo.
Nella mia ombra dormiva il tempo.

Ricarda Huch: Erinnerung

martedì 4 maggio 2021

Maggio - di Fabio Tombari

La grossa storiona che col flusso dell’acqua risale di notte la corrente del fiume, guarda sospettosa qua e là le lontre e l’altra piccola gente, ma soprattutto essa teme gli uomini che insidiano dalle sponde. Oh, non per sé, ma per i suoi ottocentomila figli in boccio.
Silenziosa, fa cenno al preferito di seguirla, e insieme scivolano fra le canne dell’argine su la mota del fondo a combinare in segreto il caviale.
L’acqua che li nasconde è come una vetrata chiusa sopra un giardino, una vetrata fra cui s’è impigliato un raggio d’argento.
Così per una sola notte lunare si popolano in questo mese le acque dei fiumi e dei mari.

Fuori il giovane Parsifal s'avvia sotto le stelle. Mercé tutte le covate di pesci, di cervi, di uccelli, di lepri, egli incede simile a un santo attraverso un bestiario favoloso.
"L'amore ha dunque la sua ragione di essere" egli pensa.
Oh, come benedice queste piccole nascite il giovane Parsifal! Ora soltanto, di fronte alla rivelazione della maternità che redime tutti gli amori, egli può fissare sereno il volto della bellezza.
E quando i fiori del giardino di Klingsor emaneranno il loro effluvio, il giovane eroe piegherà il capo commosso di fronte all'innocenza di quel Dio che si rivela per segni così primitivi.
Come tutto è semplice in natura; la stagione dei fiori, la stagione dei frutti, la stagione della morte...

Ma non così la pensano i vecchi gnomi saputi. Raccolti in crocchio, all'ombra di un orcio rotto,
Pfui Teufel! Non se ne può più con queste pianticelle del giorno d’oggi. Tutta l’aria è impregnata della loro cipria... (i vecchi gnomi starnutano). E azalee e rose e gladioli e begonie, madreselva, gardenie: cosa non inventano per affidare quella magica polverina? Si vestono dei più sgargianti colori, si profumano tutte... Es sind am Brunnen - continua il barbogio, abbassando la voce - ci sono là dietro il pozzo drei Daphne profumate di odori diversi. Capite le civette! Anche di notte, anche di notte, verstanden? Eccole là, guardatele. Silene e saponarie e petunie e nicoziane: così avvizzite, cadenti, sembrano piangere la loro rugiada sopra non so quale tomba; ma di sera, um sieben Uhr, verso le sette...”
In quel momento, a pochi passi dal crocchio dei nani, un giovane aglio comincia a dare al naso...
“Accidentaccio!”
Tutti gli gnomi indignatissimi scattano come un sol gnomo, e si allontanano a piccoli grandi passi. Una pingue rosa spampanata, si arriccia voltandosi dall'altra parte. “Dio mio, che scredito per i vegetali!”
Ma l’aglio non se la dà per inteso. Imparentato col giglio, col cristianissimo giglio, fiorisce anche lui in oriente nei giardini di Maometto.
“Ciascuno a suo modo, del resto” e riprende a puzzare più forte che mai.

sabato 1 maggio 2021

L'egoismo in filosofia - di Rudolf Steiner

 


Rudolf Steiner sviluppò il proprio pensiero alla fine del XIX secolo in un vivace confronto con il monismo, ed egli stesso disse della propria filosofia: “Volendola qualificare, la si può indicare come monismo dei pensieri”*. Cinque anni dopo la Filosofia della libertà, nel 1899, apparve il saggio, “L’egoismo in filosofia”, esempio di una radicalità che cercava a suo modo una rottura con il pensiero occidentale e il suo doppio religioso e metafisico. Manifesto di un monismo che non aderiva più in nulla all’architettura borghese e salottiera dell’edificio di pensieri di allora. In fondo, un contributo filosofico fondamentalista dal quale non può prescindere chi ancora una volta vorrebbe iniziare da principio – e questo deve farlo chiunque si proponga di pensare e di agire non solo in modo originale, ma originario.

(Dall'introduzione di Daniel Baumgartner)

L'egoismo in filosofia - di Rudolf Steiner
Traduttore: Claudio Zanghieri
Editore: Editrice Antroposofica
Anno edizione: 2020
Pagine: 96 p., Brossura
Prezzo: € 10,00

Dioniso, dio del caos creativo


Appena nato, Dioniso fu catturato dai Titani, fatto a pezzi, bollito in un calderone, mentre dal terreno inzuppato del suo sangue nasceva un albero di melograno.
Non un granché come inizio.
Ma Rea accorse in suo aiuto e gli ridonò la vita. Per proteggerlo dalla gelosia di Era, lo affidò prima al re Atamante, poi alle ninfe Iadi che lo allevarono, nutrendolo di miele, nascosto in una grotta sul monte Nisa.
Fu proprio sul monte Nisa che Dioniso inventò il vino, invenzione che gli diede immensa fama.
Prima di essere accolto nell'Olimpo fra gli altri dei, vagò per il mondo lasciando dietro di una scia di gioia e di terrore. Ovunque arrivasse, qualcuno impazziva, faceva a pezzi un congiunto, si abbandonava a pratiche di cannibalismo.
Ma Dioniso era anche dispensatore di gioie ebbre e sfrenate, capace di trasformare di continuo e la realtà intorno a . Lo sperimentarono gli sfortunati pirati che lo rapirono per venderlo come schiavo. Una pessima idea: una vite crebbe attorno all'albero maestro, l'edera avvolse vele e sartiame, i remi si trasformarono in serpenti, Dioniso si tramutò in un enorme leone e tutta la nave si popolò di animali feroci. In preda al terrore, i pirati preferirono gettarsi in mare.
Eppure questo dio così temibile, inquieto e inquietante, si cela, cresce in ciascuno di noi. Ne vediamo i continui mutamenti nelle immagini oniriche, nelle pulsioni più profonde, nei ricordi dimenticati che affiorano improvvisi, nelle emozioni, nelle paure, nei sapori, nei profumi che ci conducono lontano nello spazio e nel tempo...
Non ci rimane che farlo a pezzi, cuocerlo a fuoco lento e poi ridargli vita sulla pagina, per vedere in che cosa si sia trasformato questa volta.

sabato 24 aprile 2021

Richiesta personale - di Robert Hamerling

 
Dillo, io scrivo cattivi versi
Dillo, io rubo cucchiai d’argento
Dillo, non sono un buon tedesco
perché per necessità dietetica
non ho mangiato carne giudaica
e quella slava neppure.
Oppure che ho tradito l’Austria,
perché ho cantato Bismarck.
Dillo che mi ha consumato il rancore,
perché mi si loda troppo raramente
e talvolta mi si calunnia vilmente.
Ma non uno, vi prego, non uno
dica: che sono pessimista,
che nel mio canto l’ultima
parola l’abbia la moderna-snob,
la sciocca, ottusa noia di vivere.
È pessimista dunque il poeta
perché si strugge in lamenti?
Proprio perché così bello gli appare il mondo
e tanto incantevole la vita,
si dispiacerà amaramente
se gli viene negata la sua parte.
Se chi si lamenta, fosse già pessimista,
allora è pessimista ciascuno
al quale sfugga un ‘Ohimè!’
quando gli cavano un dente!
Creda quel che vuole il recensore
ma non ch’io sia pessimista!
Questa parola la odio – ne sento il fetore
fino all’ultima sillaba.


Persönliche Bitte

Sagt, ich mache schlechte Verse –
Sagt, ich stehle Silberlöffel –
Sagt, ich sei kein guter Deutscher,
Weil aus notgedrungner Rücksicht
Der Diät kein Judenfleisch ich
Und kein Slawenfleisch genieße –
Oder ich verrate Ostreich,
Weil den Bismarck ich besinge –
Sagt, daß mich der Gram verzehre,
Weil man mich zu selten lobt,
Und zuweilen schnöd verlästert –
Aber Eines, bitt* ich, Eines
Saget nicht: daß Pessimist ich –
Daß in meinem Sang das letzte
Wort hat die blasiert-moderne,
Blöde, stumpfe Daseinsunlust!
Pessimist war' drum der Dichter,
Weil er sich ergeht in Klagen?
Just weil ihm so schön die Welt
Und so reizend scheint das Leben,
Wird er schmerzlich es bedauern,
Wenn versagt ihm blieb sein Anteil.
Soll, wer klagt, schon Pessimist sein,
Dann ist Pessimist auch jener,
Welchem ein O weh entfuhr,
Als ein Zahn ihm ward gerissen!
Glaubt den Rezensenten alles,
Nur nicht, daß ich Pessimist!
Dieses Wort haß ich - mir duftet's 
Wie nach seiner letzten Silbe.

venerdì 9 aprile 2021

Aprile - di Fabio Tombari

L’uccelletto che al mattino fra l’erba ancor umida scorge la luce in ogni gocciola d’acqua, freme indeciso. Rantoli, strida; i gufi sui galli, i galli sui gufi. Un frullo, uno scatto e trillando si libra a congiungersi allo zenit col proprio anelito.
Quell’ingenua freschezza, quel volare coi palpiti. Tutta la sapienza degli allocchi sui più antichi campanili, non vale lo slancio di una lodola.
Chi strilla chi abbaia: un’aria soave, una partitura da cani. Solisti e comprimari, il gallo del pollaio, i rospi del fosso; un gorgheggio un solfeggio. Ma non c’è modo di metterli d’accordo: zigoli, cince; chi arriva chi parte; un salterio un fugato: i passeri sempre pronti a concedere il bis, il merlo a infischiarsene.
Invano il forapaglia fa capolino sul fiume: un’acquerugiola, una spruzzatina sui fiori. Il brillar delle gemme, il valzer dei refoli. La primavera fa arrossire anche i fanelli. E cantano i regoli.
Sono tornati tutti: pispole, fringuelli, cutrettole: quando le madri volano con fiocchi e pagliuzze nel becco, e le povere pecore, senza saperlo lascian lungo le siepi i bioccoli per le cove. Il codirosso fa le uova verdi come lo schiaccino, il pettirosso come lo scricciolo.
È arrivato l’ambasciatore sui campi e sulle valli... gli vanno incontro covate di pulcini, di ochette e maialini e piccioncini e conigli: l’Aprile è tutto bianco di uova, d’agnelli, albicocchi e ciliegi in fiore. Simile a quel bambino convalescente dai grandi occhi sognanti, che sta alla finestra e ha fame di giuncate e tuorli freschi, e sogna sentieri distanti e vorrebbe correre col vento, l’Aprile è così fresco di acque correnti e palme di ulivo. E la festa che viene tintinna di lontano come un carretto di primizie.

martedì 3 novembre 2020

Autunno - di Caesar Flaischlen

Ora sono arrivati anche i ragni!
Silenziosi, piano piano,
come di notte
sono arrivati su ogni siepe
ad avvolgere e a intessere
quel che ancora fiorisce...
E le farfalle cadono,
stanche di volare, in quelle reti...


Sopra di loro torna
la nebbia con i suoi veli...
Piano piano, come i ragni,
di notte... non si sa da dove...
E le foglie cominciano a cadere.

lunedì 6 luglio 2020

Il cielo sopra Dornach


"Ma le notti di Luglio, in quale voragine si inabissa la terra!
La Vergine, Arturo, Vega ed Altari punteggiano lo stellato, mentre Capra ed Antares ne tracciano il meridiano.
Gli ultimi astrologhi, con gli occhiali sul naso e l’astrolabio in mano, vorrebbero fermarle, ma l’universo avanza e ne sorgono dappertutto: da dietro i pagliai, oltre le montagne, sopra gli altari. Agli occhiali, i cannocchiali, il sestante, l’ottante, i prismi, i telescopi; ma invano: il gettito d’oro continua: fulgidissime, azzurre, pullulano sulle case, sui transatlantici, sulle carovane dei deserti. Alcune isolate rosse e tremanti quali lumi nelle stalle; altre a gruppi, quasi nidi, pulviscoli, cittadine del firmamento. Più le ricerche accaniscono e l’insondabile è esplorato, più l’abisso sprofonda. E quelle infittiscono. Ai pianeti i satelliti, alle fisse gli erranti, gli asterismi, le coppie; la pulcherrima d’Arturo, l’oro e zaffiro d’Albireo, la smeraldina d’Ercole: turchesi, rubini, lapislazzuli erompono dal tesoro del cielo; gemme, diademi, splendori di scrigni in un fiume di perle. Alle comete gli asteroidi, alle costellazioni le nebulose. Si specchiano sui mari, nei laghi, negli occhi dei cervi, nei gioielli delle dame.
Inutilmente gli ultimi poeti rimasti rivanno il senso perduto: la rigidità dell’indagine s’impone e il pessimismo invade anche i pastori erranti dell’Asia. L’astrologia si fa astronomia e i nomi propri non bastano; tocca ricorrere ai comuni: cocchiere, squadra, freccia, triangolo; alle bestie: lupo, giraffa, mosca, camaleonte; e infine ai minerali, agli zeri, decametri di zeri. E i miti ammutoliscono.
Pegaso, Cassiopea, Ercole, Andromedea cantavano di visioni, di sogni sublimi. Ora non più: gli eroi cedono il posto ai sapienti, i sapienti ai pedanti; l’Olimpo diviene un distretto, la plaga una mappa. Ciò che si ispirava alla Vergine, al Presepe, ai Gemelli, alla Greppia, si informa al compasso, al Fornello, Reticolo, Cavalletto, Macchina pneumatica.
A una religiosa rivelazione, la più fredda inchiesta: le impronte, le tracce spettrografiche; all’Epifania la polizia scientifica. Lo spirito non c’è più, c’è soltanto materia. E la Terra sprofonda.
Fisici matematici filosofi, tutti ugualmente ossessionati da quel vuoto che prima era fuori e ora è dentro di loro, non contemplano più il firmamento, ma solo i propri numeri nei loro propri quaderni. Lo stesso Einstein che con la sua arida formula pretende di escogitare la vita universa da un’astrazione, non sospetta neppure che quella sua equazione, buona per un galvanometro, non illuminerà mai né l’Iliade, né il sorriso di un fanciullo.
E mentre con la stessa fantascienza dei giornalini a fumetti, le più micidiali potenze provvedono a imbottigliare gli uomini per spararli fuori dall’orbita, le divine costellazioni che un tempo aprivano ai profeti i loro arcani celesti, rischiano di diventare sigle per pubblicità luminose; e le stelle filanti si gettano a capofitto nel buio con la noncuranza di cicche qualsiasi.
Ed ecco spettrale la tenebra prendere forma – la Testa del Cavallo, il Sacco del Carbone – ombre, larve di universi falliti e spenti; vane, senz’orbita, avanzare a tenaglia. Ma un uomo è insorto per tutti, e il cielo si spalanca sul colle di Dornach.
Il Cigno allo Zenit porta al sommo Vega: guizzano i Pesci, Pegaso. Perseo cala dal nord. L’Aquila, sorvolato il meridiano, ne scaccia il serpente. Ecco l’Ariete, ecco il Toro. Lo Scorpione è fuggito.
E Orione che avanza con i Gemelli, reso perlaceo dall’alba, ode osannare le altezze."
Fabio Tombari: I mesi - Luglioleggi il testo completo

martedì 2 giugno 2020

Pentecoste, la festa dell’individualità e della comunità



Il riversarsi dello Spirito Santo, evangeliario di Magonza, intorno al 1250


La Pentecoste è l’espressione di due tendenze evolutive paradossali. Una è il processo di frammentazione dell’umanità dovuta a un’individualizzazione sempre crescente, l’altra la formazione di una unione fraterna che abbracci tutta l’umanità. Entrambe devono svilupparsi contemporaneamente, ci dice Rudolf Steiner, entrambe sono la vera e propria missione del cristianesimo.
In tempi passati era il sangue che costituiva l’elemento comunitario, la famiglia, la stirpe, il popolo. Queste comunità erano sovrastate da un io superiore, da un io di gruppo. In questo modo però lo sviluppo dell’umanità non poteva portare alla individualità, alla consapevolezza di ogni singolo io, del suo nucleo eterno e alla libertà. La missione del Cristo voleva però questo sviluppo. Doveva, quindi, venir spezzata e frammentata l’antica formazione di gruppo. Per questo nella Bibbia troviamo quelle parole del Cristo che suonano tanto dure: nessuno può diventare suo discepolo, se non abbandona padre, madre, figli, oppure quando respinge la madre e i fratelli, dicendo che per lui madre e fratelli sono coloro che “fanno la volontà del Padre”. “Questo è lo spirito nuovo che deve venire nell’umanità rispetto al sangue. Nella stessa misura in cui muore la parentela di sangue crescerà l’autonomia individuale”(1).
Anche la cultura dei Misteri faceva parte del tempo in cui le comunità erano fondate sui legami di sangue. Gli iniziati, i sacerdoti, grazie alla iniziazione facevano discendere la sapienza divina, davano direzioni e leggi, perché tutti potessero raggiungere la sapienza e la verità eterne. Al vertice vi era l’iniziato più elevato che faceva scorrere dall’alto della struttura piramidale la sua sapienza. Era la massima autorità. Così tutto era costruito sulla autorità, e il singolo non poteva diventare libero.
Per essere adatti all’iniziazione, era necessaria una particolare attenzione al sangue. “Era importante che il sangue avesse la giusta miscela. Per questo si dava tanta rilevanza al fatto che la generazione del sacerdote non si mescolasse con altro. Per secoli si preparavano le condizioni perché uno fosse il giusto successore, in grado di diventare in questo modo un vero iniziato.”
Se l’umanità intera deve formare una grande unione fraterna, il sangue deve perdere il suo significato nei ristretti limiti avuti fino ad ora. “Ciò che agisce sull’io, che pulsa nell’io, non dovrà più dipendere dal sangue, quando tutta l’umanità sarà matura per un’unione fraterna”. Nel sangue si è innestato l’egoismo, l’autoaffermazione. Dal sangue egoistico che impedisce all’umanità di ampliarsi verso l’io universale, il Cristo liberò la Terra grazie al sangue sacrificale del Golgota. “Considerate la quantità di sangue che sgorgò dalle ferite del Cristo come la quantità che è dovuta scorrere, affinché il sangue perdesse la tendenza a formare comunità ristrette, dando la possibilità di diffondere l’unione fraterna su tutta la terra.”
Il principio del cristianesimo è che ognuno abbia accesso alla sfera della verità e della saggezza, allo Spirito Santo, ma sia anche responsabile per le esigenze di tutta l’umanità, senza più fare affidamento sulle autorità. La sapienza unirà ciò che l’individualizzazione frammenta; infatti la sapienza superiore, la sfera dello Spirito Santo, è unitaria. Anche della verità più alta ne esiste una sola, è unitaria.
Nel miracolo della Pentecoste viene a espressione il fatto che gli apostoli ampliano la loro unione fino a diventare unione dell’umanità, parlando una lingua compresa da tutti. Da un lato lo spirito della verità, insieme al massimo sviluppo della individualità dall’altro, unisce tutti gli uomini; questa è la visione del futuro che si presenta con la festa di Pentecoste.
Si trova una bella espressione di tutto questo in una miniatura di metà del XIII secolo. Gli apostoli sono raccolti intorno a Maria. Ognuno porta la propria fiamma con determinazione e chiarezza. Lo spirito divino che in alto compare come sole unitario nella zona dorata e nutre la sfera della sapienza, è frammentato, divenuto individuale. Ma questa sfera abbraccia e unisce con un bel gesto le figure individualizzate.
L’individualismo e l’unione fraterna fondata dallo spirito diventano tutt’uno. Questo è il segreto della festa di Pentecoste.
 Hella Krause Zimmer, da “Offenbare Geheimnisse der christlichen Jahresfeste“, Freies Geistesleben 2003
(Traduzione di Stefano Pederiva)

Milano, 31 maggio 2020                                                          Fondazione Antroposofica Milanese




1 Le citazioni sono prese dalle conferenze di Rudolf Steiner del 17 e 25 marzo e del 1 aprile 1907, Das christliche Mysterium, OO 97, Rudolf Steiner Verlag, Dornach

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